martedì 24 giugno 2008
15 anni di guerra ai giudici
Miracolo
Il 1994 si apre con la “discesa in campo per un nuovo miracolo italiano”. Quale miracolo,lo si capisce poche settimane dopo quando, al termine di un anno di indagini, la Procura di Milano chiede l’arresto di Paolo Berlusconi per le tangenti al fondo pensioni Cariplo in cambio dell’acquisto di immobili Edilnord invenduti, e di Marcello Dell’Utri per i fondi neri di Publitalia. Una fuga di notizie del Tg5 salva Dell’Utri dalle manette, mentre Paolo finisce dentro e confessa. Intanto il Cavaliere, che sui giudici dice il contrario di ciò che pensa per non urtare gli elettori, tutti schierati col pool Mani Pulite, vince le elezioni e forma il suo primo governo. Tenta, invano, di avere come ministri i due uomini simbolo del Pool, Di Pietro e Davigo, rispettivamente all’Interno e alla Giustizia. Scalfaro gli impedisce di nominare Guardasigilli Cesare Previti, che slitta alla Difesa. In via Arenula arriva Alfredo Biondi. Poi un sottufficiale della Guardia di Finanza denuncia il suo capo: gli ha offerto una quota di una mazzetta appena pagata dalla Fininvest per ammorbidire una verifica fiscale.
Decreto Biondi
E’ lo scandalo delle mazzette alle Fiamme Gialle: coinvolti un centinaio di militari e 500 aziende, tre delle quali appartengono al nuovo premier. L‘ufficiale pagatore del Biscione è il dirigente Salvatore Sciascia, che sta per essere arrestato insieme a colui che, a suo dire, gli ha dato i soldi e l’autorizzazione a pagare: Paolo Berlusconi. Per i due è pronta la richiesta di cattura. E c’è il rischio che, in carcere, confessino la verità. Silvio, da Palazzo Chigi, commissiona in fretta e furia a Biondi un decreto per vietare la custodia cautelare in carcere per vari reati, compresi quelli contro la pubblica amministrazione. Corruzione compresa. E’ il primo Salvaladri, che fa uscire circa 3 mila detenuti in tre giorni. E soprattutto non fa entrare Paolo e Sciascia. Poi, a furor di popolo, Bossi e Fini non ancora ridotti a maggiordomi impongono il ritiro della porcata. Paolo e Sciascia finiscono in manette e confessano.Poi si scopre che il consulente Fininvest Massimo Maria Berruti ha depistato le indagini subito dopo un incontro a Palazzo Chigi col premier. Che, il 21 novembre, riceve il suo primo invito a comparire. Lui si adopera con ispezioni ministeriali e ricatti per propiziare le dimissioni di Di Pietro e il 6 dicembre le ottiene. Due settimane dopo, Bossi rovescia in polemica con la riforma delle pensioni.
L’inciucio
Il Cavaliere passa all’opposizione del governo Dini, anche se è pappa e ciccia col nuovo Guardasigilli Filippo Mancuso, che perseguita con attacchi e ispezioni le Procure di Milano e Palermo (qui si indaga su Berlusconi e Dell’Utri per mafia e riciclaggio). E ottiene la prima controriforma bipartisan della giustizia:quella che rende più difficile la custodia cautelare per i colletti bianchi. Nel marzo ‘96, scandalo “toghe sporche”: indagati e/o arrestati alcuni magistrati romani, corrotti dagli avvocati Fininvest Previti e Pacifico, in seguito alle rivelazioni di Stefania Ariosto al pm Ilda Boccassini. Berlusconi è indagato come uno dei mandanti. Un mese dopo Prodi vince le elezioni e inaugura il quinquennio dell’Ulivo.Ma sulla giustizia Berlusconi continua a vincere anche se ha perso, grazie all’Ulivo che gliele dà tutte vinte. Essendo indagato a Milano per corruzione dei giudici e della Finanza, per le tangenti a Craxi tramite All Iberian, per i fondi neri nell’acquisto del calciatore Lentini e dei terreni di Macherio, oltrechè indagato per mafia e riciclaggio a Palermo, attacca quotidianamente le Procure e anche Di Pietro, fino a quel momento risparmiato nella speranza che aderisse a Forza Italia. L’ex pm viene denunciato e indagato più volte a Brescia, dove anche gli altri pm milanesi devono difendersi dalle accuse del Cavaliere, che li fa incriminare addirittura per “attentato a organo costituzionale”. Una specie di colpo di Stato.
Leggi ad personas
Intanto in Parlamento le leggi “ad personas” ammazza-toghe e salva-imputati si susseguono a getto continuo, sempre votate da maggioranze bulgare quanto trasversali, in parallelo alla Bicamerale, dove il lottatore continuo Marco Boato prepara bozze su bozze che mettono la magistratura al guinzaglio del potere politico. La bozza finale viene votata da tutti i partiti, eccetto Rifondazione. Poi, sul più bello, il Caimano fa saltare il banco perché ormai ha ottenuto tutto quel che voleva: nel frattempo, infatti, sono passate coi voti anche dell’Ulivo quasi tutte le leggi contenute nel programma della Giustizia del Polo, scritto da Previti nel ’96 e bocciato dagli elettori. Il nuovo articolo 513 Cpp cambia le regole dei processi a partita in corso e costringe i giudici a ripartire daccapo: prescrizione garantita a centinaia d’imputati di Tangentopoli. La Consulta lo dichiara incostituzionale e destra e sinistra, a tempo di record, lo conficcano nella Costituzione (articolo 111, il cosiddetto “giusto processo”). Seguono la depenalizzazione dell’ abuso d’ufficio non patrimoniale, la legge imbavaglia-pentiti, il patteggiamento in Cassazione e la depenalizzazione dell’uso di false fatture (per risparmiare il carcere a Dell’Utri, condannato in appello a 3 anni e 2 mesi per false fatture), il no delle Camere all’arresto di Previti e Dell’Utri e così via. Incassato tutto l’incassabile, nel 2001 Berlusconi stravince e torna al potere.
Leggi ad personam
Ormai,da salvare dai processi, sono rimasti solo il premier e il fido Previti: per loro la giustizia-lumaca all’italiana è ancora troppo efficiente e spedita. Dunque, per tutta la legislatura, si lavora per paralizzarla definitivamente. Appena rientrato a Palazzo Chigi, Berlusconi scatena subito i suoi onorevoli avvocati,Pecorella e Ghedini, e i suoi giannizzeri, Dell’Utri e Guzzanti, con una legge che si propone di cestinare tutte le prove trasmesse per rogatoria dalle magistrature straniere. Per esempio, le carte che dimostrano i passaggi di denaro estero su estero dalle sue aziende ai conti di Previti a quelli di alcuni giudici romani. Recitando un copione stilato da Pio Pompa, lo spione preferito dal comandante del Sismi Niccolò Pollari, che raccoglie schedature su magistrati, politici e giornalisti “rossi”, il Cavaliere denuncia un complotto planetario dell’”Internazionale delle toghe rosse”. La Svizzera, per protesta, blocca la ratifica del trattato sulle rogatorie con l’Italia. I giudici di tutta Europa insorgono. Per fortuna la legge è scritta coi piedi e non verrà mai applicata da nessun tribunale: contrasta con le prassi e con una mezza dozzina di convenzioni internazionali, che prevalgono sulle norme ordinarie. Intanto Tremonti escogita lo “scudo fiscale” per il rientro anonimo dei capitali illegalmente accumulati ed esportati all’estero. Nel gennaio 2002, il ministro Castelli tenta di trasferire il giudice Brambilla per far saltare il processo Sme. Il governo leva la scorta a vari magistrati, tra cui Greco e la Boccassini. E abolisce di fatto il reato di falso in bilancio, per cui il premier è imputato in 5 processi: saranno tutti chiusi con la prescrizione o con la formula “il fatto non è più reato”. In marzo chiede il trasferimento dei processi a Brescia: il Tribunale di Milano è infestato di toghe rosse e condizionato dai girotondi. Per propiziare il grande trasloco, vara a tappe forzate la legge Cirami che reintroduce il “legittimo sospetto”. Ma nel gennaio 2003 la Cassazione lascia i processi dove sono: i giudici milanesi sono imparziali. Allora il premier che sta per diventare per 6 mesi presidente di turno dell’Ue, impone il lodo Maccanico-Schifani: uno scudo spaziale che rende le 5 alte cariche dello Stato invulnerabili da ogni processo per ogni reato, anche comune, anche commesso prima di assumere l’incarico. C’è anche la norma Boato, che vieta ai giudici di usare le intercettazioni in cui compare anche indirettamente la voce di un parlamentare senza il permesso del Parlamento.
Toghe matte
Per evitare che la sentenza Sme-Ariosto arrivi prima del Lodo, il premier fa saltare le udienze inventando svariati “impedimenti istituzionali” e ricusando continuamente i suoi giudici (14 volte in tutto, tra lui e Previti). Ad abundantiam, spiega che i magistrati sono “antropologicamente diversi dal resto della razza umana”,perché “se fai quel mestiere devi essere matto”. Nel gennaio 2004 la Consulta dichiara incostituzionale anche il Lodo e il processo Sme al Cavaliere ricomincia.Allora passa la legge per accorciare la prescrizione dei suoi reati e, per estensione, anche per quelli degli altri: si chiama ex-Cirielli perché il promotore Edmondo Cirielli di An, visto come gliel’ hanno stravolta, la sconfessa e non si trova nessuno che voglia darle il proprio nome. Prescritto in primo grado per la tangente al giudice Squillante, Silvio teme la condanna in appello: l’apposito Pecorella abolisce l’appello per le sentenze di proscioglimento.Le condanne invece restano appellabili. Ciampi respinge la legge: incostituzionale. Il premier la rifà uguale e la Consulta la cancella.
Coa(li)zione a ripetere
Nel 2006, come sempre dopo aver governato, Berlusconi perde le elezioni. Ma sulla Giustizia rivince anche se ha perso. L’Unione gli regala subito un indulto extra-large di 3 anni per salvare Previti dagli arresti domiciliari. E gli attacchi ai giudici diventano pane quotidiano anche della sinistra, che crocifigge Clementina Forleo e Luigi de Magistris, rei di aver messo il naso in troppi malaffari trasversali. Così, nel 2008, Lazzaro risorge e torna a Palazzo Chigi per la terza volta. E per la terza volta si occupa dei suoi processi. Taglia le intercettazioni. Abolisce la cronaca giudiziaria.Sospende almeno 100 mila processi per sospendere il processo Mills, in attesa di varare il Lodo Schifani-bis e rendersi di nuovo invulnerabile. Chi l’avrebbe mai detto.
giovedì 19 giugno 2008
mercoledì 18 giugno 2008
martedì 17 giugno 2008
disobbedire
Dunque niente intercettazioni e niente notizie. Magistrati nella rete. Giornalisti in galera. Politici schermati dalla legge. Periferie presidiate. Campi nomadi circondati. Clandestini passibili di arresto. Carceri sempre più piene di soli poveracci: tossici, extracomunitari, gli ultimi dell’ultimo girone.
Mai più un banchiere molestato da indagini. Mai più un primario, né una clinica. Mai più un fabbricante di strade e di ponteggi pericolanti. Mai più i trafficanti di calciatori, di bond argentini e di sub prime. Mai più scalatori di banche e di assicurazioni.
Giornali e giornalisti obbligati al silenzio. Editori passibili di immediati ricatti, con perigliose battaglie legali, ritorsioni economiche, guerriglie normative senza fine. Oppure gentilmente blanditi dalle dolcezze del quieto vivere. E dal veleno di dossier (veri o falsi) ma ugualmente clandestini e clandestinamente compilati per allestire ricatti ideati da tutti gli spioni disponibili nei sottofondi della repubblica.
domenica 15 giugno 2008
venerdì 13 giugno 2008
Manca solo la beatificazione
Oggi ha cambiato idea. No, non su suo padre, e neppure sul Ponte. Ma sull’impronta onomastica da lasciare ai posteri, a sancire una stagione, anzi un’Era italiana, sospesa sul mare blu della Storia, sfidando la geometria delle faglie, le correnti dello Stretto, e il buon senso. Se il Ponte si farà, porterà il suo nome.
Lo ha rivelato lui stesso ai suoi uomini e indirettamente agli italiani. Non solo per via dell’ostinazione con cui ne parla. Ma anche dal modo ieratico con cui ignora il silenzio dei suoi alleati e la crescente irritazione della Lega. “E’ un’opera prioritaria” ha detto. Ma persino lui sa che non è vero. “Rilancerà l’economia del Sud”, ha detto. Ma a sentire i magistrati e gli investigatori saranno i picciotti a trasformarlo in un banchetto, molto piu’ dei muratori. “I soldi ci saranno” ha detto. Anche se nessuno sa ancora dove si troveranno i 6 miliardi di euro (prezzi calcolati nel 2002) che serviranno a cominciare il gioco delle fondamenta e poi dei subappalti.
Sarà un caso ma proprio nelle stesse ore in cui sfiorava la santità di Benedetto XVI e il doppio millennio della sua ditta di anime, Berlusconi ha rilanciato la propria eternità: “Diventera un lascito… Il segno piu’ evidente... Il simbolo per i posteri”. Stava parlando del Ponte, ma naturalmente anche di sé.
giovedì 12 giugno 2008
martedì 10 giugno 2008
venerdì 6 giugno 2008
giovedì 5 giugno 2008
ADDIO AL CELIBATO FORRO
Foto del BBK...Non pervenuteeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!
lunedì 2 giugno 2008
e adesso pover'uomo
Traduzione (provvisoria): il governo Berlusconi, tramite il sottosegretario ad personam, anzi ad aziendam, Paolo Romani, dovrà finalmente consentire a Europa7 di trasmettere in chiaro su tutto il territorio nazionale con le apposite frequenze. E che la sentenza non sia proprio favorevole a Mediaset, lo si desume anche dal fatto che, per evitare contraccolpi sul mercato azionario, è stata annunciata di sabato. Ora non vorremmo essere nei panni del Cainano: già lo immaginiamo aggirarsi insonne in una delle sue numerose ville, attanagliato dal dilemma amletico: salvare un’altra volta Rete4 mettendosi contro la Costituzione, la Consulta, la Corte e la Commissione europea, le regole comunitarie e attirando sull’Italia una supermulta, o rispettare le leggi e le sentenze almeno una volta nella vita? Non per nulla, fino all’altro giorno, il governo Mediaset aveva tentato di risolvere la faccenda al solito modo: l’ennesimo emendamento-condono salva-Rete4 (ritirato solo dopo l’ostruzionismo di Idv e Pd) imperniato su un antico principio giurisprudenziale della scuola arcoriana: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammoce ‘o passato e pure le sentenze italiane ed europee.
Le cause intentate allo Stato dall’editore Francesco Di Stefano dinanzi al Tar e poi al Consiglio di Stato sono sette. Tre, più secondarie, riguardano la seconda tv del gruppo, 7 Plus; tre (più una “doppia” che sarebbe lungo spiegare) investono la rete principale Europa7.
1) La prima è sul ricorso contro l’abilitazione a trasmettere in “fase transitoria” senza concessione rilasciata a suo tempo a Rete4 dal decreto 28/7/1999 del governo D’Alema. Il Tar e ora il Consiglio di Stato ritengono il ricorso inammissibile, ma ormai la questione era superata dalla nuova abilitazione data da Gasparri nel 2004 e dalla sentenza europea che boccia tutte le leggi italiane basate sulla “fase transitoria” a partire dal ’94.
2) Europa7 chiedeva al governo di rispondere pro o contro le proprie istanze. Su questo, il Tar le dà ragione: o il governo revoca la concessione, o dà le frequenze. Mediaset fa ricorso. Ieri il Consiglio di Stato l’ha respinto, intimando al governo di “rideterminare le frequenze” chieste dalla tv mai nata e “applicare la sentenza” europea.
3) Europa7 chiede allo Stato le frequenze per Europa7 e i danni fin qui subiti per la mancata partenza dell’emittente (circa 3 miliardi). Il Consiglio di Stato chiede alla Corte europea se le norme italiane pro-Rete4 e anti-Europa7 siano compatibili con quelle comunitarie. La Corte risponde il 31 gennaio che no, la normativa italiana è incompatibile, dunque illegale, ergo va disapplicata: ubi maior, minor (cioè Berlusconi) cessat.
Ieri il Consiglio di Stato ha rinviato la decisione al 16 dicembre. Ma, in via provvisoria, ha respinto “in parte” le richieste di Europa 7. Che vuol dire? Che non le riconosce 3 miliardi di danni, ma un po’ meno? O che i danni saranno quantificati solo quando si saprà se il governo darà le frequenze? Pare di sì, visto che si “subordina” il risarcimento al “rideterminarsi” le frequenze applicando la sentenza europea. Ma quali ordini vengano impartiti precisamente al governo ancora non si sa. L’unico dato certo è che il governo dovrà depositare “i documenti” di ciò che farà “entro il 15 ottobre”. Ma che cosa esattamente debba fare, lo sapremo solo martedì. Per ora si sa che ora il conflitto d’interessi, da gigantesco, diventa mostruoso. E grottesco. Chi deve risolvere il problema è chi l’ha creato. Il detective incaricato di chiudere il caso è l’assassino.